Il terrorismo islamico ha sviluppato dei meccanismi finalizzati a garantire le risorse necessarie per la realizzazione delle proprie attività. Le organizzazioni in sé non generano profitti economici, pertanto i finanziamenti tendono a derivare da attività parallele, le quali hanno permesso di formalizzare un’economia ombra, favorendo, inoltre, una stretta relazione tra le cellule terroristiche e la criminalità organizzata.
Il denaro sporco tra tracciamento e riciclaggio
I rapporti elaborati in ambito di sicurezza internazionale hanno evidenziato un nesso tra i ricavi provenienti dalle diverse tipologie di traffico criminale – quali contrabbando, traffico di armi, tratta di esseri umani, traffico di stupefacenti – e il finanziamento delle attività terroristiche.
Per questo motivo il monitoraggio dell’economia criminale legata al terrorismo islamico rappresenta un fattore chiave per conoscerne le dinamiche. Seguendo il concetto del follow the money, e quindi del tracciamento del denaro che gravita intorno alle organizzazioni jihadiste, è possibile acquisire informazioni rilevanti sulle attività delle cellule terroristiche ed elaborare eventuali strategie inibitorie. Seguire il movimento del denaro, infatti, costituisce spesso uno strumento utile per giungere all’identificazione dei gruppi e delle relative minacce che questi rappresentano, nonché allo sviluppo di efficaci metodi di contrasto e prevenzione.
Allo stesso tempo, la ricostruzione di tali flussi economico-finanziari testimonia il fatto che ogni organizzazione terroristica non può prescindere dal denaro e dalla capacità di ottenerlo, trasferirlo, utilizzarlo. A tal proposito un aspetto fondamentale da tenere in considerazione è l’ampio utilizzo di organizzazioni di facciata o centri religiosi apparentemente leciti per mascherare e riciclare le attività economiche criminali. Proprio per questo, negli ultimi anni numerose moschee e organizzazioni apparentemente legali in occidente sono finiti per trasformarsi in strutture di supporto logistico del terrorismo, luoghi di riciclaggio di denaro e sedi occulte di reclutamento.
Ma il tema delle operazioni mirate a dare una parvenza lecita a capitali la cui provenienza è in realtà illecita non è solo legata ai luoghi di culto islamico. Infatti, è stato rilevato che alcune organizzazioni terroristiche hanno beneficiato dei sistemi di riciclaggio delle più grandi criminalità organizzate, che, tra le varie attività, da tempo sfruttano le lacune e l’inefficienza dei controlli mirati del settore bancario. È stato infatti accertato che ogni anno flussi di denaro sporco vengono riciclati attraverso transizioni bancarie lecite, e nonostante gli sforzi per cercare di rilevare tale attività, i gruppi criminali sono ancora in grado di utilizzare tale meccanismo alimentando l’economia criminale.
I rischi legati al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo costituiscono una grave minaccia per il sistema finanziario europeo e la sicurezza dei suoi cittadini. Per questo motivo negli ultimi anni l’Unione europea ha intensificato il proprio impegno sviluppando un quadro normativo apposito, il quale però deve essere costantemente adattato agli sviluppi del contesto globalizzato. In particolare, le ultime direttive antiriciclaggio mirano a: rafforzare la cooperazione tra le unità nazionali di informazione finanziaria; migliorare la cooperazione e lo scambio di informazioni tra le autorità di vigilanza antiriciclaggio e la Banca centrale europea; affrontare i rischi connessi alle carte prepagate e alle valute virtuali, questi ultimi notevolmente utilizzati per le transizioni di denaro nel mondo del terrorismo islamico.
Il narcotraffico e la vendita di armi come finanziamento del terrorismo
L’economia criminale legata al narcotraffico si scontra con i presupposti dottrinali del fondamentalismo islamico. Pertanto, la realtà legata all’economia derivante dallo sfruttamento di tali risorse risulta essere variegata nel panorama del terrorismo islamico a seconda delle convinzioni ideologiche e soprattutto del collocamento geografico delle varie organizzazioni. In genere, la relazione tra i jihadisti e i traffici di droga non è pienamente inquadrabile nel concetto di narcoterrorismo, definizione con cui si identificano i terroristi stessi come attori coinvolti direttamente nella produzione e vendita delle sostanze stupefacenti. Quest’ultima configurazione potrebbe essere coerente, invece, con l’attività ad esempio dei talebani in Afghanistan, che secondo le stime dell’ONU è il principale paese esportatore di oppio, risorsa che viene lavorata per sintetizzare l’eroina.
Per quanto riguarda invece le recenti organizzazioni terroristiche della jihad, si sostiene che questi sfruttino il controllo di determinati territori per facilitare il traffico di droga, la quale viene però prodotta da altre organizzazioni criminali. Queste ultime, provenienti anche da aree geografiche molto lontane, utilizzano i canali territoriali sotto l’influenza jihadista per esportare i beni a livello internazionale, in cambio di una tassazione per la protezione offerta dai terroristi.
Le rotte principali attraverso cui avviene il traffico transnazionale di stupefacenti sono due: una riguarda l’hashish, la cui direttrice è quella che, dal Rif marocchino, va dapprima a Sud verso la Mauritania, per poi prendere la via del mercato europeo tramite l’Egitto o la Turchia; la seconda, apparentemente più remunerativa, è quella della cocaina, e tale rotta parte dall’America Latina, attraversa l’Oceano Atlantico e raggiunge le coste dell’Africa occidentale. Da qui, la direttrice settentrionale permette il trasferimento della droga in Europa ed è proprio in questo passaggio che alcune cellule terroristiche si sono inserite, più che come organizzazione dedita al traffico vero e proprio, come elemento in grado di garantire la sicurezza del passaggio dei convogli, tramite la richiesta di tangenti. È stato accertato che al-Qaeda, storicamente attiva nel Maghreb Islamico, più volte sia stata coinvolta in tale commercio e nella protezione dei trafficanti. Anche Boko Haram, organizzazione terroristica basata principalmente in Nigeria e nei paesi confinanti, è stata impegnata in relazioni con trafficanti di droga e nel contrabbando all’interno del territorio sotto il suo controllo.
Un’altra fonte di reddito che lega il jihadismo alle organizzazioni criminali è il traffico illegale di armi. Nel Sahel, una regione caratterizzata da stati deboli e falliti, e dove i conflitti sono endemici in un contesto di corruzione diffusa, il contrabbando e il traffico di armi è diventato un elemento chiave delle attività criminali. I trafficanti forniscono armi a tutti gli attori non statali presenti nella regione, siano essi milizie o mafie, nonché organizzazioni terroristiche. Il traffico di armi è diventato una questione centrale soprattutto a seguito del crollo statale della Libia del 2011. In un contesto di profonda crisi e caos sociopolitico, il saccheggio delle vaste scorte di armi pesanti e leggere dell’esercito libico, da parte di attori criminali, ha modificato radicalmente la natura di questa attività, favorendo la vendita illegale di armi su tutta l’area circostante. È opinione comune che la crisi libica abbia indubbiamente facilitato un aumento significativo della quantità di armi, soprattutto quelle pesanti, a disposizione dei jihadisti. Le organizzazioni terroristiche hanno fin da subito sfruttato la criticità della situazione libica, intensificando a loro volta la destabilizzazione dell’area. Infatti, stabilendo contatti continui con i trafficanti al fine di ottenere le armi necessarie per le loro attività, il terrorismo jihadista ha potuto sfruttare tali risorse per la propria causa, diffondendo ancora una volta il terrore e incrementando i profitti derivanti dall’economia criminale.
Sequestri e traffico di esseri umani
Spesso tra le varie entrate economiche necessarie all’acquisto di armi e strumenti di guerra, vi sono i proventi derivanti da un’altra attività criminale, la quale sembrerebbe anche essa notevolmente proficua: i sequestri e il traffico degli esseri umani. Generalmente, i sequestri si configurano come una fonte di guadagno redditizia per i gruppi armati jihadisti. In particolar modo, il rapimento di determinate categorie di persone – soprattutto occidentali – garantirebbe la visibilità e l’attenzione dei media, contribuendo ad alzare di molto le aspettative per un eventuale pagamento del riscatto. Oltre al profitto economico, le persone sequestrate possono anche essere ridotte in schiavitù dai gruppi terroristici per avere manodopera a basso costo, rappresentando quindi un ulteriore voce in attivo nell’economia terroristica.
Tra il 2008 e il 2014, Al-Qaeda e le cellule ad esse affiliate hanno realizzato entrate per almeno 125 milioni di dollari dai rapimenti. Si stima che, almeno fino al 2014, il gruppo Abu Sayyaf abbia partecipato a rapimenti in cui sono stati raccolti circa 1,5 milioni di dollari ottenuti da riscatti. Anche Boko Haram è noto per raccogliere fondi attraverso rapimenti di massa di stranieri e civili a scopo di riscatto. Secondo i rapporti, Boko Haram ha una task force specializzata in rapimenti che si propone di rapire politici, uomini d’affari, stranieri, governanti e funzionari pubblici con l’intenzione di scambiarli successivamente con ingenti somme di denaro o per il ritorno di altri militanti di Boko Haram che sono stati incarcerati.
Tale dinamica risulta essere ancor più drammatica per quanto riguarda le donne che vengono rapite dai gruppi jihadisti. Il rapimento di oltre 250 giovani donne ad opera del gruppo Boko Haram nel 2014 è stato il fatto rivelatore di un vero e proprio commercio di donne, che mette in relazione il terrorismo di matrice islamica e lo sfruttamento della prostituzione. Le ragazze rapite in Nigeria dai gruppi jihadisti sono destinate a matrimoni forzati con i combattenti dell’organizzazione terroristica, e alcune di loro sono vendute alle reti nigeriane della prostituzione molto attive in Europa, che vengono veicolate grazie alle mafie, le quali forniscono loro passaporti e le introducono nei paesi europei. Anche in questo contesto emerge la stretta relazione tra terrorismo jihadista e criminalità organizzata, le cui conseguenze sono sempre più tangibili sul territorio europeo.
Un nesso costante
L’ascesa della criminalità organizzata transnazionale e la natura mutevole del terrorismo hanno permesso che due fenomeni tradizionalmente separati abbiano iniziato progressivamente a rivelare molte somiglianze operative e organizzative. In effetti, i gruppi criminali e terroristici sembrano imparare l’uno dall’altro e adattarsi ai reciproci successi e fallimenti. In termini di sicurezza internazionale, ciò significa che diventa quanto meno necessario riconoscere e comprendere il continuum stabilito dal nesso terrorismo-criminalità, con l’obiettivo di formulare risposte efficaci a queste minacce, le quali, come si è visto, sono sottoposte a periodiche evoluzioni.
A cura di Jhonathan Ruiz