La strage impunita degli ambientalisti in Messico

Nell’ultimo decennio, 1773 ambientalisti sono stati uccisi in tutto il mondo, 200 solo nel 2021. Mentre l’America Latina nel suo complesso è stata teatro di oltre i tre quarti degli omicidi di attivisti dell’ultimo anno, il Messico domina con 54 vittime la classifica dei Paesi più pericolosi per i “difensori della terra”. All’origine di questo triste primato un perverso intreccio tra grandi interessi economici, criminalità organizzata e istituzioni troppo spesso complici.

Morire per l’ambiente. Il triste primato del Messico

In molte parti del mondo la difesa dell’ambiente rappresenta un’attività ad alto rischio, esponendo chi la pratica ad abusi, intimidazioni, violenze fisiche. Nei casi più estremi può anche costare la vita. I dati raccolti dall’ONG Global Witness, impegnata fin dagli anni ‘90 nella denuncia delle violazioni dei diritti umani legate allo sfruttamento delle risorse naturali, sono in tal senso impressionanti: nell’ultimo decennio (2012-2021) sono stati uccisi in tutto il mondo 1773 ambientalisti, uno ogni due giorni. L’ultimo anno esaminato, il 2021, è stato uno dei più neri, con 200 vittime accertate. Di esse, oltre tre quarti sono state registrate nella sola America Latina, la regione del mondo di gran lunga più ostile per i “difensori della terra”, come sono chiamati da queste parti gli attivisti per l’ambiente. I primi tre Paesi per numero di ambientalisti uccisi nel 2021 sono, non a caso, tutti latinoamericani: Brasile (26 morti), Colombia (33) e Messico (54). Proprio il Messico nel corso dell’ultimo anno ha sperimentato un vero e proprio exploit degli assassini di ambientalisti (+30 vittime rispetto al 2020) guadagnandosi il triste primato di Paese più pericoloso al mondo per chi lotta in difesa della natura. Delle vittime registrate in Messico nel 2021, quasi la metà apparteneva a comunità indigene, da sempre in prima linea contro lo sfruttamento indiscriminato delle loro terre e delle loro risorse.

Tra multinazionali e criminalità organizzata

In Messico, come in tutta l’America Latina e non solo, i grandi interessi economici rappresentano la prima minaccia alla preservazione dell’ambiente. Le grandi multinazionali presenti nel Paese, soprattutto nordamericane, operano molto spesso in settori fortemente invasivi nei confronti degli ecosistemi quali quello energetico, quello estrattivo, quello agricolo. La deviazione dei corsi d’acqua per la produzione di energia idroelettrica, lo scavo di miniere altamente inquinanti, la deforestazione selvaggia per lasciar spazio a campi e allevamenti sono solo alcuni degli impatti negativi sull’ambiente contro i quali gli attivisti si battono sfidando apertamente – e pericolosamente – gli interessi delle grandi imprese straniere.

Per difendere anche materialmente i propri affari, le multinazionali operanti in Messico si servono spesso di compagnie di sicurezza private. Esse si rendono in molte occasioni protagoniste di intimidazioni quando non di vere e proprie violenze nei confronti degli ambientalisti. In alcuni casi, quando ritengono la protezione di tali compagnie insufficiente, molte aziende arrivano persino a scendere a patti con la criminalità organizzata e in particolare il narcotraffico per intimidire le popolazioni locali e quanti si oppongono alle loro attività. È stato ad esempio documentato come il Cartel Jalisco Nueva Generación, uno dei più famigerati cartelli della droga messicani, sia da tempo al servizio dell’industria mineraria nella Sierra de Manantlán, area naturale protetta dall’UNESCO tra gli Stati di Jalisco e Colima.

La complicità delle istituzioni

Nella stragrande maggioranza dei casi, gli assassini di ambientalisti in Messico rimangono senza un colpevole. Ciò è diretta conseguenza del generale clima di impunità che regna nella nazione latinoamericana, dove si stima che il 94% dei crimini non sia nemmeno denunciato per via della profonda sfiducia verso le autorità e che meno dell’1% dei casi venga risolto. Più che di impotenza, almeno per quanto riguarda gli abusi e le violenze nei confronti dei difensori della terra, è probabilmente più corretto parlare di compiacenza quando non di vera e propria complicità delle istituzioni nei confronti dei potentati economici e delle organizzazioni criminali che li spalleggiano. Le intimidazioni nei confronti degli ambientalisti, infatti, provengono in molti casi dalle autorità prima ancora che dalle multinazionali e le loro attività sono spesso criminalizzate da parte dello Stato e represse con sproporzionata durezza dalle forze dell’ordine.

Nei casi più estremi, gli stessi rappresentanti delle istituzioni possono essere direttamente o indirettamente coinvolti negli omicidi di attivisti. Secondo Global Witness, infatti, oltre un terzo dei 54 ambientalisti uccisi in Messico nel 2021 sarebbe da classificare come casi di “sparizione forzata”, ossia rapimenti ed eliminazioni di individui da parte dello Stato o per mano di terzi con l’autorizzazione, il sostegno o quantomeno l’acquiescenza dello Stato stesso. Nei restanti casi, laddove non è possibile parlare di un coinvolgimento diretto o indiretto delle autorità, le indagini sugli assassini di ambientalisti risultano comunque generalmente superficiali e assai poco incisive, concludendosi quasi sempre con un nulla di fatto.

Ripartire da Escazú

Considerato il quadro descritto, risultano evidenti la necessità e l’urgenza di azioni decise. Un primo passo potrebbe essere un’effettiva attuazione dell’accordo di Escazú, ratificato dal Messico nel gennaio del 2021 ma rimasto finora sostanzialmente inapplicato. Il trattato, adottato il 4 marzo del 2018 nell’omonima località della Costa Rica dai rappresentanti di 24 Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, contiene disposizioni vincolanti in materia di accesso all’informazione, partecipazione e giustizia nelle questioni ambientali. Sono inoltre previste specifiche norme a tutela dei difensori della terra, oggi più che mai sotto attacco in tutta la regione e in particolare in Messico. L’accordo di Escazú può rappresentare in tal senso un importante progresso, ma difficilmente potrà produrre effetti concreti finché persisterà nelle istituzioni un atteggiamento di connivenza e finché la società civile messicana non avrà preso piena coscienza del problema.

A cura di Andrea Segalini

In foto: I membri delle comunità indigene e delle organizzazioni civili sono le principali vittime degli attacchi letali per la difesa del territorio (credit: Graciela López/Cuartoscuro)