Il 16 ottobre 2022 è una data da segnare sul calendario, ha inizio il XX Congresso del Partito Comunista Cinese (PCC). Nel resoconto della China Central Television, la più grande emittente televisiva sotto il controllo statale, viene evidenziato come il XX Congresso sia “una conferenza molto importante che si tiene in un momento critico in cui l’intero Partito e le persone di tutti i gruppi etnici stanno intraprendendo un nuovo viaggio per costruire un Paese socialista moderno e in marcia verso la metà del secondo secolo di lotta”. Inoltre, viene sottolineato come il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, sia il fulcro del Partito e dello Stato, nonché figura chiave nel guidare la Cina verso il “socialismo della nuova era”. Qual è la storia all’origine del PCC?
La radici storiche del Partito, l’ascesa di Mao Zedong
Dopo la fine della Prima guerra mondiale, la Cina partecipò alla conferenza di Pace di Parigi nella quale ottenne solo 2 seggi per il minimo contributo bellico. Alla Cina fu permesso di riannettere le concessioni territoriali tedesche in territorio asiatico. Nel mentre, durante il Trattato di Pace di Versailles del 28 giugno 1919, il Giappone ricevette il controllo della provincia di Shandong, regione cinese e terra natia di importanti personalità come Confucio. L’umiliazione di quella perdita accese in Cina il nazionalismo e portò a una serie di scontri interni, tra i quali ricordiamo la protesta di Piazza Tienanmen.
Nel 1921 a Shangai venne fondato il PCC che, in base alle indicazioni del Comintern, l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti, decise di sostenere il Kuomintang, il Partito Nazionalista Cinese che aveva affrontato i Signori della Guerra. Nacque dall’accordo tra Kuomintang e PCC un’alleanza denominata Primo Fronte Unito, che però ebbe vita breve. Infatti, alla morte del leader del movimento Sun Yat-Sen, il controllo del Kuomintang passò nelle mani di Chiang Kai-Shek, che fece di tutto per arginare l’avanzata del PCC. Dopo aver conquistato il regno dei Signori della Guerra, Kai-Shek entrò a Pechino con le sue truppe istituendo un governo autoritario e bandendo il PCC, il quale rifugiatosi nelle zone rurali del paese,trovò un territorio favorevole alla propria riorganizzazione.
In un clima di scontri e preoccupazione, uno dei fondatori del PCC, Mao Zedong, identificò come fulcro della Rivoluzione la casta contadina. L’allora imperatore Kai-Shek cercò di accerchiare e annientare i componenti del PCC, che furono costretti a intraprendere quella che sarà ricordata come la “Grande Marcia”, un lunghissimo cammino da Sud a Nord del Paese, fino a giungere nello Shanxi nel 1935. Tra il 1935 e il 1936, l’ostilità tra il Kuomintang e il PCC dovette cessare a seguito dell’invasione della Manciuria da parte del Giappone. I due schieramenti furono costretti ad un’alleanza forzata al fine di fronteggiare insieme l’Impero Giapponese, che ormai controllava il Mar Cinese Orientale.
Con il coinvolgimento giapponese nella Seconda guerra mondiale, venne meno l’impegno nel conflitto con la Cina. Tale dinamica favorì la ripresa delle ostilità interne tra i nazionalisti di Kai-Shek e i comunisti di Mao Zedong, che non tardarono a sfociare in una sanguinosa guerra civile.
Nel luglio del 1946, l’esercito di Kai-Shek, che contava ben 4 milioni di uomini, si trovò a fronteggiare un ben più scarno esercito comunista di appena 1 milione di uomini. Sapendo di non poter resistere a un esercito così ben organizzato, Mao promise al popolo massicce riforme agrarie delle quali avrebbero beneficiato tutti i cittadini che sarebbero divenuti membri o sostenitori del Partito. L’annuncio di Mao Zedong portò a un considerevole aumento di iscritti, passando da 40 mila nel 1937 a 1,2 milioni nel 1945. Inoltre, le proposte del leader del PCC stavano creando ripensamenti nelle file nazionaliste, determinando un considerevole “cambio bandiera”. Su tali presupposti, la fazione comunista riuscì ad imporsi su quella nazionalista, le cui eredità finirono per concentrarsi sull’isola di Taiwan, generando controversie politiche con Pechino tutt’ora presenti. Il 1° ottobre 1949, Mao Zedong proclamò la nascita Repubblica Popolare Cinese.
Le rivoluzioni di Mao e l’ascesa di Xiaoping
Sotto Mao Zedong, denominato il “Grande Timoniere”, venne statalizzata l’economia promuovendo così uno sviluppo rapido dell’industria e dell’agricoltura. Nel 1958, egli lanciò “Il Grande Balzo in avanti”, un ambizioso progetto economico basato su due risorse principali, l’acciaio e il grano. Il progetto voleva riformare il sistema economico cinese, ancora troppo rurale, tramutandolo in un sistema industrializzato che enfatizzasse la manodopera. Diversamente dal sistema sovietico Mao ritenne che l’agricoltura e l’industrializzazione potessero procedere equamente affidandosi alla manodopera. Per rispettare l’impegno preso con i suoi cittadini, ossia duplicare la produzione di metallo, venne dispiegata una fitta rete di fornaci su tutto il territorio nazionale, utilizzando come combustibile per il loro meccanismo di accensione persino finestre, porte e oggetti domestici.
Nel 1958, le decisioni prese in ambito economico e le carestie che si abbatterono sulla Cina fecero perdere fiducia nel Grande Balzo e nel Partito. La voce portatrice di queste critiche fu il Ministro della Difesa Nazionale della Repubblica Popolare Cinese, Duhuai Peng, che riteneva inefficaci le scelte economiche del partito. Per rimediare alle conseguenze del fallimentare Grande Balzo, Mao lanciò la rivoluzione culturale nel 1966 con l’obiettivo di rinnovare lo spirito della rivoluzione comunista, eliminando tutti i cittadini che avevano espresso perplessità sulle misure realizzate. A tal fine, furono mobilitate le Guardie Rosse, gruppi di giovani urbani, che perseguitarono e uccisero tutti coloro non ritenuti “sufficientemente rivoluzionari”. Le crudeltà delle Guardie Rosse cessarono nel 1976 a seguito della morte di Mao Zedong.
Alla morte di Mao presero la guida del PCC Hu Yaobang e Zhao Ziyang, entrambi sotto la leadership di Deng Xiaoping, “Il Piccolo Timoniere”. La sua ideologia si basò sulla liberazione economica socialista, attuando un piano riformistico denominato “socialismo con caratteristiche cinesi”. Contrario all’idea del Grande Balzo, grazie all’ampio consenso popolare, riuscì a fare fuori la fazione continuista capeggiata dalla moglie di Mao Zedong, ancora proiettata verso la Rivoluzione Culturale, e diede inizio alle “quattro modernizzazioni”: agricola, industriale, tecnico-scientifica e militare.
Per ampliare la forza economica cinese, liberalizzò l’economia garantendo all’occidente una manodopera a basso costo, istruita ed efficiente, e la sicurezza dei traffici marittimi, ormai da anni sotto il dominio cinese. La liberalizzazione portò a un notevole aumento del PIL e permise alla Cina di ottenere nuovamente il primato di potenza mercantilistica che aveva perso nel quindicesimo secolo, a seguito della scoperta dell’America. Il sistema economico taylorista adottato, però, portò a un problema di sovrapproduzione in Cina, corruzione e sfruttamento della manodopera. In politica interna Xiaoping sosteneva con forza la dittatura del partito unico, la restrizione delle libertà individuali e la repressione violenta dei dissidenti, cui massima espressione fu la mattanza di piazza Tienanmen del 1989. Nel 1992 abbandonò la politica, ma continuò a partecipare a qualche comizio, spegnendosi nel 1997 per malattia.
Il cuore e il leader del Partito Comunista Cinese
Nel novembre del 2012, durante l’VIII Congresso del Partito Comunista Cinese, Xi Jinping venne eletto Segretario e Capo delle Forze Armate, prendendo il soprannome di “Principino Rosso”.
Il 29 novembre, al Museo nazionale di Pechino, il Presidente Xi Jinping tenne un discorso incentrato sulla storia cinese e sulla necessità di accrescere nuovamente il prestigio della Cina, utilizzando come pretesto gli sviluppi storici delle Guerre dell’oppio dell’Ottocento.
Dal punto di vista ideologico, la politica dell’attuale leader cinese è piuttosto affine al tradizionalismo di Mao Zedong. Ciò permette di comprendere il suo impegno nell’affrontare le eredità negative delle misure economiche realizzate da Xiaoping.
Nel 2016, gli venne attribuito il titolo di “cuore e leader del partito comunista” e l’anno successivo inserì nel programma del partito il “Xi Jinping xin shidai Zhongguo tese shehuizhuyi sixiang”, pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era. Nello stesso anno criticò il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, durante il vertice di Davos, schierandosi a favore della globalizzazione e condannando il protezionismo. La proposta più interessante messa in atto da Xi fu quella di eliminare dalla Costituzione il limite dei due mandati, precedentemente imposto da Deng Xiaoping nel tentativo di evitare il ritorno di un nuovo dittatore maoista. Questa riforma, tuttora, gli garantisce la presidenza a tempo indeterminato e la possibilità di segnare degli obiettivi a lungo termine per il PCC, tra i quali ricordiamo il 2021 “società moderatamente prospera” e il 2049 “Paese socialista ricco e forte”.
Il Partito è l’unico attore legittimato a definire quale sia la verità della Cina, sia storiografica che ideologica. Gli obiettivi che vengono stabiliti nel corso dei vari congressi sono la linfa vitale del partito e della sua influenza sul popolo cinese. A breve si terrà il ventesimo congresso e solo il tempo sarà in grado di individuare il prossimo traguardo del PCC.
Di Alessio Baretta
In foto: Piazza Tienanmen (credit: Nick Fewings)