È salito a dieci il numero di giornalisti uccisi in Messico dall’inizio del 2022, con tassi di impunità sempre più elevati. Il silenzio dell’amministrazione pubblica e dei grandi magnati dei media sono un’ulteriore dimostrazione dell’inefficacia del sistema e della corruzione del diritto alla libertà di espressione.
di Giada Vair
La denuncia del giornalismo
Il direttore della testata Monitor Michoacán, Armando Linares, aveva denunciato in un video l’uccisione del collega e amico Roberto Toledo, avvenuta il 31 gennaio, ricordando la difficile posizione in cui si trovano a lavorare i giornalisti messicani, sempre più spesso presi di mira per le loro indagini attorno al tema della corruzione. “Non siamo armati, non portiamo armi; la nostra unica difesa è una penna, una matita, un taccuino”, aveva dichiarato il direttore, ribadendo che “continueremo a denunciare la corruzione anche se ne dovesse andare della nostra vita”.
E purtroppo, un mese e mezzo dopo la scomparsa del compagno, è stato proprio Linares l’ultima vittima di questo ciclo di attacchi al mondo dell’informazione messicana.
Da anni in cima alle classifiche dei paesi più pericolosi al mondo per il giornalismo – al 143° posto su 180 secondo il World Press Freedom Index di Reporter Senza Frontiere e al primo posto per mortalità nel 2020 secondo il Comitato di Protezione dei Giornalisti -, il Messico ha registrato già 10 omicidi dall’inizio del 2022, la cifra più alta mai rilevata in un periodo di tempo così breve. E sono altrettanto alte le cifre dei giornalisti rapiti, minacciati, pedinati e spiati: si stima, infatti, che siano almeno 15 i reporter di cui è stata denunciata la scomparsa nel 2021.
Come riportato dalle statistiche della Press Emblem Campaign (PEC), la maggior parte dei reporter assassinati sono diventati target della violenza a causa del loro lavoro, in quanto impegnati nel tentativo di smascherare gli schemi di corruzione che legano criminalità organizzata, funzionari pubblici e alcuni settori della polizia. Il catalogo della PEC oltre a registrare i nomi dei giornalisti, la testata per cui lavoravano e la data in cui è avvenuto il decesso, segnala anche se la morte è dovuta ad un incidente casuale o se l’omicidio sia stato premeditato o portato a termine per cause criminali, due casi che descrivono perfettamente la condizione delle vittime messicane.
Le impunità che non rendono giustizia
Ma purtroppo i dati riportati restano spesso solo delle speculazioni. Infatti, a causa dell’alto livello di impunità registrato in Messico – oltre il 19% per quanto riguarda i crimini commessi contro i lavoratori dell’informazione – è difficile portare prove certe rispetto a quale sia il movente e a chi siano gli autori del crimine. Inoltre, in molti casi le indagini vengono abbandonate a metà strada, o persino mai avviate in modo concreto. A testimoniare tale inefficienza giudiziaria vi è la constatazione che sono stati individuati i presunti responsabili di uno solo uno dei dieci omicidi avvenuti negli ultimi tre mesi. Nei restanti casi, al fine di colmare la negligenza amministrativa sono gli stessi colleghi giornalisti che si assumono la responsabilità di giungere alla verità dei fatti circa i delitti registrati, non potendo fare affidamento su un sistema poliziesco e giudiziario notoriamente lento e inconcludente.
I legami tra sicari ed esponenti del mondo politico complica ulteriormente la situazione. Alcuni giornalisti che sono stati rapiti e sottoposti a tortura hanno testimoniato che i loro aggressori agivano per conto di determinati funzionari statali su cui stavano indagando per smascherarne gli schemi di corruzione. È evidente, dunque, quanto l’impunità sia pericolosa per la stampa: se non ci sono persecuzioni per questi crimini, che in alcuni casi sembrano essere sponsorizzati direttamente dall’alta amministrazione, allora non c’è alcun motivo per tentennare nel commettere violenza.
L’inefficienza della pubblica amministrazione messicana è testimoniata anche dai bassi valori che lo stato registra in numerosi indici internazionali, come ad esempio il Freedom Rating, che inserisce il Messico tra i paesi solo parzialmente liberi, con numerose mancanze soprattutto nel campo delle libertà civili e nella legalità del sistema giudiziario. L’elevato numero di minacce ed il clima di terrore generatosi nel settore dei media, ha pertanto costretto molte testate giornalistiche all’autocensura o a interrompere eventuali inchieste circa la criminalità organizzata al fine di garantire la sicurezza del proprio personale.
Risposta delle autorità e meccanismi di protezione
L’escalation nel numero degli omicidi di giornalisti è iniziata in Messico attorno al 2006, durante l’amministrazione di Felipe Calderón e l’inizio della “Guerra contra las drogas” che ha portato ad uno scontro frontale tra lo Stato e le organizzazioni criminali, complicando ulteriormente il panorama di violenza del Paese. Per far fronte ai continui attacchi, nel 2012 venne creato il Meccanismo di Protezione dei Difensori dei Diritti Umani e dei Giornalisti, con lo scopo di incrementare la sicurezza fisica di questi lavoratori nonché la presenza di misure legali di cui potessero beneficiare. Il meccanismo permette ad esempio di dotare coloro che vi si affidano di un bottone anti-panico con cui fare richiesta di aiuto in caso di pericolo, o anche l’installazione di videocamere nei pressi dell’abitazione del soggetto sottoposto a protezione, nonché l’assegnazione di una scorta o il trasferimento in un luogo considerato più sicuro, qualora fosse ritenuto necessario per la sua salvaguardia.
Purtroppo questo meccanismo ha presentato delle criticità funzionali. Col passare del tempo sono aumentate progressivamente le falle nel sistema, soprattutto a causa della mancanza di fondi per garantirne l’implementazione. Sono numerosi gli attivisti o giornalisti che sono stati uccisi sebbene fossero inseriti in questo sistema di prevenzione: in molti casi il tempo di reazione alla richiesta di aiuto si è dimostrato molto lento, in particolar modo nei casi in cui la vittima non risiede nei grandi centri urbani, ma in zone rurali più difficilmente raggiungibili.
Inoltre, l’alto livello di corruzione di funzionari o forze dell’ordine ostacola inevitabilmente la completa funzionalità del meccanismo di protezione.
La politica messicana sembra non tutelare il mondo giornalistico
Un caso noto riguarda Lourdes Maldonado, una giornalista uccisa lo scorso 23 gennaio che era stata inserita nel sistema di protezione federale e che si era persino appellata direttamente al presidente Andrés Manuel López Obrador. Durante una conferenza stampa del 2019, la giornalista aveva dichiarato di aver ricevuto diverse minacce di morte dopo aver vinto un processo per questioni di diritti lavorativi indetto contro l’ex magnate dei media e ora governatore dello Stato della Baja California, Jamie Bonilla. Maldonado aveva chiesto direttamente aiuto al presidente e aveva più volte dichiarato di sentirsi in pericolo di vita, ma nonostante la sua partecipazione al meccanismo federale di protezione dei giornalisti, il suo omicidio non è stato evitato. Successivamente, Obrador sembrò moderare la gravità dell’accaduto limitandosi alla richiesta di evitare eventuali collegamenti tra il delitto della giornalista e le vicende legate al governatore Bonilla, il quale è inoltre un esponente del partito Morena fondato dallo stesso presidente messicano.
L’atteggiamento del presidente nei confronti del mondo della stampa si è sempre più radicalizzato col passare del tempo. Spesso, durante le sue tradizionali conferenze stampa mattutine, Obrador ha denunciato il giornalismo di essere schierato contro di lui e i suoi progetti di riforma, dipingendo ogni critica alle sue politiche come una menzogna o una calunnia e tacciando i reporter di danno morale, con l’obiettivo di minarne la credibilità pubblica. Gli attacchi verbali del presidente contro la stampa indipendente non si sono mai fermati neanche di fronte alla recente escalation di vittime nel settore ed è difficile immaginare un cambio di prospettiva che porti all’adozione di misure più solide per bloccare l’impunità e fermare l’ondata di omicidi.
Le limitazioni alla libertà di stampa
La direzione che il Capo di Stato pare intenzionato a seguire per quanto riguarda il giornalismo sembra essere tutt’altra che coerente con le libertà sancite dalla democrazia, in quanto si aspira ad un sempre maggiore controllo dei mezzi di informazione con lo scopo di bloccare qualsiasi forma di critica o opposizione al suo governo. Secondo il Media Ownership Monitor (MOM) di Reporter Senza Frontiere, in Messico i proprietari dell’industria mediatica sono tra le persone più ricche al mondo e, sebbene sia difficile dimostrarlo ufficialmente, è indubbio che essi abbiano degli stretti legami con la politica. Negli ultimi quattro anni lo Stato ha infatti alzato fino a 4 miliardi di dollari il budget pubblicitario statale, che viene garantito però esclusivamente alle imprese che appoggiano il regime. Queste concessioni di fondi non trasparenti e basate su favoritismi generano dipendenza economica e autocensura, mettendo a rischio il pluralismo mediatico: infatti, solo le grandi imprese approvate dallo Stato riescono ad ottenere i fondi necessari per sopravvivere e di conseguenza continuano a portare avanti la loro campagna a favore del governo; le piccole aziende e le testate di opposizione fanno molta fatica a mantenersi in piedi e spesso sono costrette o a chiudere o a mutare il tipo di notizie che diffondono in modo da riuscire a racimolare parte dei sussidi governativi.
La crisi mediatica che sta colpendo il Messico ha dunque radici strutturali profonde che toccano il mondo dell’alta politica, della giustizia e dell’economia sommersa, mostrando quanto la corruzione sia effettivamente il filo conduttore tra il legale e il criminale. Il tentativo di silenziare i giornalisti nel loro impegno a portare a galla il sistema corrotto che si è radicato nel Paese rappresenta solo un ulteriore passo avanti nell’erosione della già molto debole democrazia messicana.
In foto: Protesta Città del Messico 25 marzo 2017 (credit: Georgina González)