Il mare, per l’Italia, è sempre stato fondamentale. L’attività marittima della marina imperiale romana, il cui scopo principale era quello di assicurare la sicurezza delle spedizioni commerciali nel Mediterraneo e lo sviluppo delle Repubbliche Marinare, unito al loro controllo economico-militare sull’Adriatico, sul Mediterraneo orientale e occidentale, con influenze sugli stati della penisola iberica e sulla costa nord-africana, sono alcuni esempi della declinazione marittima delle ambizioni politiche dei popoli italici.
di Daniele Pettorelli
Oggi, l’area geopolitica del Mediterraneo si è estesa ben oltre i confini naturali: l’accresciuta interdipendenza tra paesi dovuta alla globalizzazione, la facilità di movimento delle merci e delle persone e i legami commerciali fanno dell’area che va dallo Stretto di Gibilterra allo stretto di Hormuz, passando per il Canale di Suez e lo Stretto di Bab El-Mandeb, includendo anche i paesi della regione del Sahel, immediatamente confinante con gli stati mediterranei nord-africani, un bacino geopolitico unico, benché caratterizzato da differenze culturali, religiose, politiche ed economiche significative.
L’Italia, per la sua posizione geografica e per la sua influenza storica è inevitabilmente coinvolta negli eventi e nella politica di quest’area strategica a livello globale. Abbiamo intervistato l’Ammiraglio De Giorgi per scoprire e analizzare qual è il ruolo che la Marina Militare e il nostro Paese possono ricoprire nel Mediterraneo allargato, per assicurare la sicurezza dei cittadini e dell’ambiente in cui viviamo.
Ammiraglio, sono trascorsi cinque anni dalla conclusione del Suo incarico in qualità di Capo di Stato Maggiore della Marina. Nel corso del Suo mandato ha lavorato per il rinnovo della flotta, riuscendo ad ottenere anche un cospicuo finanziamento ed elaborando un progetto iniziale che prevedeva la costruzione di una nave anfibia, dieci pattugliatori d’altura, una nave logistica e due unità per operazioni speciali. In realtà, ha promosso riforme innovative anche nel corso dei suoi precedenti incarichi di vertice, tra i quali Comandante delle Forze Aeree della Marina, Capo di Stato Maggiore del Comando Operativo Interforze e del Comando Squadra Navale. Vi sono aspetti che oggi, a Suo parere, andrebbero affrontati o innovazioni da attuare e in che modo?
Certamente. Gli aspetti critici su cui intervenire, direi con urgenza, sono molteplici. Da un lato vi è l’esigenza di completare il rinnovamento della flotta. Ho sempre affermato in tutte le sedi che il finanziamento del 2014 era da considerarsi solo la prima tranche dei fondi necessari per rinnovare la flotta in modo bilanciato. Ho indicato nel dettaglio la configurazione della nuova flotta in un documento intitolato “Prospettive e orientamenti di massima della Marina Militare per il periodo 2015-2025” che spiegava la visione concettuale posta alla base del nuovo strumento aeronavale. L’esigenza complessiva sarebbe stata di 10 miliardi di euro in 10 anni. Il finanziamento da me ottenuto è stato di quasi € 6 Mld. È essenziale completare le restanti acquisizioni di mezzi aerei e navali. Purtroppo, mentre nel triennio 2013-2016 la Marina Militare è riuscita a contrattualizzare tutte le quattordici navi della cosiddetta “Legge Navale del 2014” e quattro FREMM [Fregate Europee Multi Missione, ndr], rimaste fuori dal contratto iniziale di sei, per complessive diciotto navi, dal 2016 in poi sono andati a contratto solo due sommergibili e una Unità Supporto Operazioni Subacquee. È evidente che con questo ritmo rallentato il rinnovamento della flotta non sarà in grado di evitare la riduzione del numero delle navi complessive sotto la massa critica minima per fronteggiare gli impegni operativi che si profilano all’orizzonte. È necessario quindi che la leadership della Marina in primis ritrovi la determinazione e il coraggio necessario per proporre al Governo e al Parlamento un provvedimento integrativo a quello del 2014 per almeno € 5 Mld.
Il secondo aspetto, non per importanza, è la questione del personale. La Legge 244 [Legge 244/2012, ndr] ha stabilito il progressivo taglio degli organici. Nel 2013 la Marina poteva contare su una forza di circa 30.400 uomini e donne, a fronte di 36.000 autorizzati. Eravamo quindi già sotto l’organico autorizzato. I motivi di tale sottoalimentazione erano correlati in parte alla maggior durezza del mestiere di marinaio e in parte a scelte sbagliate fatte dalla Marina Militare.
Mi riferisco alla chiusura della maggioranza delle nostre basi storiche (Cagliari, La Maddalena, Napoli, Venezia, Ancona) per rinchiudersi a Taranto/Brindisi, La Spezia e Augusta. La concorrenza delle altre Forze Armate e Forze di Polizia, le cui infrastrutture/basi erano e sono capillarmente distribuite sul territorio era quindi difficile da bilanciare. La Marina finiva per “pescare” sostanzialmente in tre Regioni. Liguria, Puglia e Sicilia. Un bacino troppo piccolo per sostenere la Forza Armata nel tempo. Nel mio periodo da Capo di Stato Maggiore ho riattivato tutte le nostre basi storiche, soprattutto per poter distribuire meglio la Flotta in funzione della minaccia contemporanea e futura, inclusa quella terroristica e asimmetrica.
La concentrazione di tutte le navi in soli tre poli ne aumentava in modo inaccettabile la vulnerabilità. Mi auguro che la rinnovata presenza della Marina sulle nostre coste invogli un maggior numero di cittadini ad arruolarsi in Marina. Ma, certamente, non basta essere presenti in modo più capillare: occorre migliorare le condizioni di vita e il trattamento economico del personale della Marina, a partire dagli alloggi di servizio, alla rivalutazione delle indennità d’imbarco, etc.
A monte occorre comunque intervenire sulla Legge 244. Ottenere una moratoria alla sua applicazione non sarebbe sufficiente perché la Marina è già oggi sotto il limite minimo calcolato in circa 38.000/40.000. Serve un intervento più radicale, che riveda le proporzioni numeriche fra le tre Forze Armate, superando i numeri figli degli anni 50/60, concepiti intorno al “dogma” della difesa della soglia di Gorizia, la nostra linea Maginot contro l’invasione dei Sovietici. Nel secolo marittimo è paradossale che la Marina Militare sia di gran lunga la Forza Armata meno finanziata e numericamente più debole.
Attualmente la Marina ha in forza appena 28.000 uomini. A regime nel 2025 dovrà scendere a 26.800, l’Aeronautica a 33.800 e l’Esercito a 89.000. Per confronto la Marina Turca è oggi a 42.000 uomini e donne, ma è in crescita a 60.000. Un altro aspetto interessante è che negli altri Paesi di riferimento dell’Europa Marittima, ovvero Francia e Regno Unito, la Marina ha un organico più consistente di quello delle aeronautiche, pur avendo queste ultime un maggior numero di aerei da combattimento rispetto alla nostra.
Il terzo aspetto riguarda il problema della stratificazione e numero dei comandi interforze che di fatto strangola i processi decisionali, soffocandoli nelle sabbie mobili di una burocrazia impervia a ogni stimolo, unitamente alla concentrazione di eccessivo potere/autorità sul Capo di Stato Maggiore della Difesa a scapito del Ministro della Difesa e dei Capi di Stati Maggiore di Forza Armata. Il prodotto è un mostro organizzativo che assorbe circa 12.000 persone (contando il solo personale militare), concettualmente arcaico, inefficace sotto tutti i profili. Snellire i processi decisionali e decentrare l’autorità necessaria ai Capi di Forza Armata affinché possano assolvere ai propri compiti sarebbe un aspetto da cui partire.
Seguiamo regolarmente il suo sito web personale. All’interno di un articolo, si è espresso a favore dell’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi quando, a seguito dell’incidente di protocollo che ha visto coinvolta la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen durante il vertice ad Ankara, ha definito il Presidente Erdogan un “dittatore”. Inoltre, ha aggiunto che “La nostra politica estera non può essere decisa dal commercio, ma dall’interesse nazionale e dai valori che ispirano la nostra Nazione”, mostrando disappunto per la decisione del governo di consegnare all’Egitto due FREMM di costruzione italiana, nonostante le tensioni fra i due paesi dovute alle tragiche e ben note vicende che hanno visto coinvolti il ricercatore Giulio Regeni e lo studente Patrick Zaki. Come avrebbe dovuto porsi l’Italia nei confronti del governo egiziano e come dovrebbe porsi adesso?
La politica estera italiana non deve essere dettata da Fincantieri o da Leonardo, ma dall’interesse nazionale. Vendere armi a regimi autocratici non è una buona idea in generale, ma vendere armi all’Egitto è un’idea ancora peggiore, visto che in Libia è un nostro avversario e considerato l’omicidio di un nostro concittadino in circostanze sconvolgenti. La richiesta di Fincantieri di cedere all’Egitto due Fregate nuove destinate alla nostra Marina era da respingere nettamente anche per considerazioni di difesa nazionale.
Non è questo il momento di indebolire la Marina Militare. Ma a rendere tutta l’operazione svantaggiosa per l’Italia era ed è la realizzazione di una serie di unità militari in cantieri Egiziani. Nessun vantaggio per il Pil Italiano, con l’aggravante di attivare una capacità nella cantieristica militare in Egitto. Un concorrente in prospettiva molto competitivo visto il costo del lavoro locale.
In sintesi, dobbiamo costruire navi in Italia e investire nell’alta tecnologia nazionale. Per l’esportazione di armamenti dobbiamo evitare di armare regimi autoritari e antidemocratici. Viceversa, non dobbiamo lasciare soli i nostri alleati più deboli in caso di bisogno. Mi riferisco al caso della Tripolitania assediata dalle truppe di Haftar. Alla richiesta di aiuto di Al Serraji l’Italia ha girato la testa dall’altra parte spianando la strada alla Turchia.
Dall’Egitto al Mediterraneo Allargato. Anche considerando le attività condotte all’interno dell’Operazione Mare Sicuro, qual è e quale sarà il ruolo dell’Italia e della Marina Militare all’interno dello scacchiere mediterraneo?
La prosperità e la sicurezza dell’Italia dipendono in maniera crescente dal Mare, dalla sua agibilità, dalla libertà di navigazione nei passaggi obbligati, dalla salute degli Oceani, dalla sicurezza marittima. La globalizzazione ha nelle comunicazioni marittime il suo pilastro abilitante fondamentale. Senza di esso il mondo si ferma. È evidente che la Marina Militare sarà chiamata sempre di più a concorrere alla sicurezza marittima ben oltre il Mediterraneo in tempo di pace o meglio di non guerra, ma dovrà anche essere preparata a combattere in mare. E’ in questo spazio liquido che rischiano di deflagrare scontri armati fra il crescente numero di flotte figlie delle aspirazioni delle nuove grandi potenze (Cina, India, Turchia) che si affiancano alle vecchie (USA, Russia, Uk, Francia) in un’ottica di sempre maggiore competizione. Non è quindi il tempo di “galleggiare” per l’Italia. Sono necessarie decisioni importanti a livello Governativo con un orizzonte temporale ampio. Il Governo attuale sotto la guida di Mario Draghi è quello che a mio parere potrebbe assolvere a questa sfida.
Nel 2017 si è imbarcato a bordo della nave di Sea Shepherd Bob Barker, partecipando all’Operazione Albacore a contrasto della pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata al largo delle coste del Gabon. Successivamente, è stato nominato Comandante della nave ammiraglia dell’organizzazione, la Ocean Warrior. Qual è oggi l’attività che svolge con Sea Shepherd? Quali sono le azioni che il Governo e i cittadini italiani possono porre in essere per difendere l’ambiente marino e costiero?
Sea Shepherd privilegia l’azione diretta contro coloro che saccheggiano gli Oceani distruggendo l’ecosistema e uccidendo specie marine in pericolo di estinzione per avidità e incoscienza. Il Mediterraneo è il mare più povero di vita al mondo e ha un disperato bisogni di aiuto. Come Italiani abbiamo un legame ancestrale con il Nostro Mare e non possiamo chiudere gli occhi. Cosa possiamo fare oltre alle chiacchiere. Possiamo agire. Denunciare chi viola le leggi internazionali e nazionali sulla pesca, in primo luogo, come fa sistematicamente Sea Shepherd. E poi, sostenere la Marina Militare, la Capitaneria di Porto, la Guardia di Finanza nella loro difesa del mare, anche tramite la pressione politica sul Parlamento affinché dia la necessaria priorità alla protezione dell’ambiente marino, a partire dalla sua fauna. E infine per i più avventurosi arruolarsi in Sea Shepherd Italia!
In foto: L’Ammiraglio Giuseppe De Giorgi (credit_Ammiragliogiuseppedegiorgi.it)