Le prospettive economiche, strategiche e ambientali del prossimo futuro del Circolo Polare Artico

Sul pianeta Terra, la vita è profondamente legata alla temperatura. Il clima influenza la struttura sociale, lo stile di vita, persino la cultura di una popolazione. Nell’Artico le condizioni estreme hanno reso difficile l’esplorazione e lo sviluppo sociale e industriale dell’area. Con rare eccezioni, la maggior parte delle potenzialità della regione restano ancora oggi sepolte sotto uno spesso strato di ghiaccio. Le cose, tuttavia, appaiono in continuo cambiamento.

Dal 1880 la temperatura è aumentata di circa 1° nel mondo; nell’Artico, l’innalzamento è stato doppio. I ritmi del riscaldamento dell’ambiente artico crescono a una tale velocità principalmente a causa dell’effetto albedo: le acque dell’Oceano Artico assorbono un’ingente quantità di radiazioni solari a causa del loro colore scuro, ciò porta a una temperatura dell’acqua più alta che accelera lo scioglimento dei ghiacci, già alimentato dal calore solare imprigionato nell’atmosfera come conseguenza dell’effetto serra. Grazie alle azioni del vento e delle correnti oceaniche, la linea costiera siberiana è stata storicamente libera dal ghiaccio durante il periodo caldo dell’anno. La costante riduzione della calotta artica e il suo spostamento verso le coste canadesi, groenlandesi e americane hanno permesso la sperimentazione e lo sfruttamento da parte di Mosca di una tratta commerciale tra l’Asia e l’Europa occidentale quasi completamente compresa all’interno delle acque controllate dalla Russia e di gran lunga più corta rispetto a quella passante per il Canale di Suez.

Sono cinque gli Stati che si affacciano sull’Oceano Artico (Stati Uniti, grazie allo Stato dell’Alaska, Canada, Russia, Norvegia e Danimarca, attraverso una delle sue nazioni costitutive, la Groenlandia). I territori artici sono amministrati in base a leggi nazionali e a trattati regionali e internazionali, mentre il governo dei mari è regolato dalle disposizioni dettate dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare del 1982 43 (UNCLOS). Secondo le direttive della Convenzione, ogni Stato ha il controllo su tutte le risorse, viventi e non, all’interno della Zona Economica Esclusiva (entro duecento miglia nautiche dalla costa). Ciò, ovviamente, si applica anche alle nazioni artiche. L’area marittima a Nord delle EEZ di questi paesi è considerata mare aperto e quindi esclusa dalle giurisdizioni nazionali. Tuttavia, ciascun paese può presentare domanda per estendere il controllo e i diritti di sfruttamento della piattaforma continentale fino a 350 miglia nautiche dalla costa e tre delle nazioni artiche – Canada, Russia e Danimarca – hanno fatto richiesta. Nonostante alcuni territori sommersi, come la catena montuosa sottomarina chiamata Dorsale di Lomonosov, siano compresi in tutte le diverse richieste presentate, i rapporti fra le nazioni coinvolte non hanno risentito della sovrapposizione delle rivendicazioni grazie alla volontà comune di risolvere i problemi legati ai confini territoriali in maniera bilaterale e pacifica. Ancora oggi, nonostante gli stati costieri dell’Oceano Artico si siano impegnati ad applicare il diritto marittimo internazionale attraverso la Dichiarazione di Ilulissat del 2008, Stati Uniti e Canada rivendicano come proprio il cruciale Passaggio a Nord-Ovest: gli USA, supportati dall’Unione Europea, affermano l’internazionalità delle acque del passaggio, mentre il Canada ne rivendica il possesso e il controllo doganale delle merci in transito.

Le pretese di Ottawa rappresentano un significativo ostacolo all’equilibrio economico della regione, ma sono giustificate dai cambiamenti che il Circolo Polare Artico sta attraversando. La riduzione del ghiaccio stagionale estivo nell’area è ormai un processo inevitabile a causa dell’aumento delle temperature, e numerosi studi, come quello condotto da ricercatori internazionali e pubblicato dalla rivista Nature Climate Change lo scorso agosto, prevedono che tra il 2030 e il 2040 assisteremo alla prima estate senza ghiaccio nell’Oceano Artico, che porterà a cambiamenti ancora più drammatici per tutto l’emisfero boreale: un tratto di mare aperto assorbirebbe molti più raggi solari della superficie ghiacciata, accumulando più calore e innalzando ulteriormente la temperatura, la cui variazione interferirebbe con il normale flusso delle correnti a getto, flussi d’aria fondamentali per l’equilibrio climatico dell’intero emisfero. Controllare il Passaggio a Nord-Ovest permetterebbe al governo canadese di applicare tasse doganali alle merci che attraversano lo stretto, sfruttando in particolar modo il passaggio di quelle navi cargo troppo grandi per procedere nel Canale di Panama.

Ma il Passaggio a Nord-Ovest non è l’unica rotta possibile. Storicamente, infatti, le correnti dell’Oceano Artico hanno sempre lasciato quasi completamente libera dai ghiacci, almeno in estate, la costa siberiana, permettendo alle navi di collegare Shanghai ad Amburgo utilizzando la Northern Sea Route, riducendo così del 30% i tempi di viaggio ed evitando i rischi derivanti dall’attraversamento dello Stretto di Malacca, infestato dagli attacchi di pirateria. Dal 2009 al 2013 il numero di navi che hanno percorso la NSR è salito da 5 a 71, un risultato che impallidisce se confrontato con le 17.000 imbarcazioni che ogni anno attraversano il Canale di Suez. Il 2013 ha rappresentato un anno record: nel corso degli anni successivi, a causa delle difficoltà riscontrate nel viaggio, il numero di navi si è ridotto sensibilmente e solo nel 2018 è avvenuto il primo attraversamento della rotta senza il supporto di una rompighiaccio. Questo aspetto in particolare è importante nella valutazione dei costi e dei benefici dell’utilizzo della NSR: la rotta è controllata dalla Russia, che è anche l’unico paese con una flotta di rompighiaccio abbastanza grande da essere in grado di offrire assistenza ai mercantili, ma l’utilizzo di queste navi può arrivare a costare agli operatori fino a 400.000$, senza contare i costi assicurativi che le compagnie sono costrette a pagare per ricevere risarcimenti in caso di danni derivanti dai frequenti cambiamenti delle condizioni meteorologiche che rendono imprevedibile l’esito del viaggio.

Investire nell’economia dell’Artico non è semplice, ma il Cremlino sembra determinato a sfruttare i propri territori nell’estremo Nord

La mancanza di infrastrutture gioca un ruolo cruciale nell’ostacolare i collegamenti con il resto del commercio mondiale, ma nel prossimo futuro la situazione economica potrebbe migliorare. La società di consulenza finanziaria Guggenheim Partners, in uno studio condotto dal 2014 al 2017, ha stimato l’esistenza di circa 900 progetti in corso di pianificazione o di realizzazione destinati allo sviluppo delle infrastrutture nell’area. 250 di questi progetti sono stati proposti dalla sola Russia. Fondamentali per il sostentamento energetico del paese sono gli idrocarburi, in particolare gas naturale e petrolio. Negli anni ‘50 del ‘900 fu scoperta in Siberia un’area adatta all’estrazione petrolifera, estesa quasi come l’Europa centrale, composta da 43 dei 60 siti di estrazione presenti in tutto l’Artico. Lo sviluppo energetico nell’Artico russo è stato storicamente dominato da società gestite o supportate dal governo, ma nei tempi più recenti compagnie straniere hanno provato, con successo, a inserirsi nel mercato, come dimostra la collaborazione tra la Exxon Mobil, americana, e la Rosneft, russa.

L’Artico è anche ricco di risorse rinnovabili, biologiche e non. Tra le prime figura il pesce: il mare di Barents, lo Stretto di Bering e le acque a Nord della Groenlandia sono sempre state ricche di pesce, con produzioni che raggiungono il 10% del pescato mondiale; l’estensiva attività di pesca degli ultimi anni rappresenta tuttavia una minaccia per le risorse ittiche. Le specie di acqua dolce, a causa della minore dimensione della popolazione ittica, vengono utilizzate per il commercio alimentare di lusso. La caccia alla balena è ancora frequente negli Stati artici, in Russia, Danimarca (sia nelle Isole Far Oer che in Groenlandia) e negli Stati Uniti in relazione al carattere tradizionale dell’attività, propria delle comunità indigene. Il dibattito sulla moralità della caccia alla balena si è notevolmente diffuso negli ultimi decenni. Alcuni Stati hanno dichiarato illegale la caccia, in altri la domanda si è ridotta a tal punto che le baleniere non lasciano neanche più il porto. La Commissione internazionale per la caccia alla balena, o IWC, fu istituita nel 1946 con lo scopo di coordinare le attività baleniere nel mondo. Oggi l’organizzazione favorisce la caccia per scopi scientifici; alcuni paesi sfruttano questo espediente per cacciare le balene e poi immettere la carne nel circuito del commercio ittico. I provvedimenti emanati dalle commissioni non hanno infatti forza di legge e gli Stati sovrani che non hanno ratificato il trattato possono astenersi dall’applicarli. Nell’Artico, questo è il caso della Norvegia (fino al 2018 anche in Islanda ma nel 2019 le baleniere islandesi non hanno catturato neanche un cetaceo, citando le difficoltà derivate dalla pesca in alto mare, l’unica permessa data la protezione riservata dal governo islandese alle acque costiere). A terra, gli allevamenti di renne sono estremamente diffusi in tutto il Circolo Polare Artico per l’utilizzo del latte, della carne e delle pellicce. Il commercio di queste ultime è stato fondamentale nell’economia delle popolazioni artiche nel corso dei secoli, anche se oggi il vasto utilizzo di pellicce sintetiche nell’industria dell’abbigliamento ha ridotto la domanda di pelli di renna. Tra le risorse rinnovabili non biologiche, la più importante è l’acqua. Numerosi fiumi dell’emisfero boreale, come l’Ob’ e l’Enisej, due dei maggiori corsi d’acqua dell’Asia, sfociano nell’Oceano Artico e sono sfruttati per la produzione di energia elettrica. Nonostante durante l’epoca sovietica fossero stati proposti diversi progetti per la costruzione di impianti idroelettrici nelle regioni artiche, le maggiori centrali sono state costruite a latitudini più basse, come la Diga di Krasnoyarsk.

Un’ulteriore risorsa economica presente nell’Artico è rappresentata dal turismo: soprattutto nelle regioni del Nord America la caccia e la pesca sportiva sono attività che attirano numerosi turisti; paradossalmente, i piccoli aeroplani che si occupano di trasportare i cacciatori sul posto sono gli stessi che vengono utilizzati dai gruppi di animalisti impegnati per la conservazione delle specie. Anche il turismo marittimo ha assistito a un modesto ma costante sviluppo: navi da crociera raggiungono le Isole Svalbard e l’Artico norvegese, il Passaggio a Nord-Ovest è stato attraversato e nel 1990 persino la rompighiaccio nucleare sovietica Rossiya ha effettuato un viaggio turistico al Polo Nord. La situazione dell’ecosistema artico è in continua e inarrestabile evoluzione, visti anche gli inconsistenti risultati delle azioni volte al contrasto del riscaldamento globale, e un numero crescente di paesi sembra voler sfruttare le opportunità che un Oceano Artico libero dai ghiacci potrebbe offrire. Resta da vedere se le comunità locali, profondamente legate all’ambiente in cui sono radicate e spesso marginalizzate dai governi centrali, siano disposte ad adattarsi ai cambiamenti in atto, che influenzeranno inevitabilmente il loro modo di vivere.

di Daniele Pettorelli

In foto: La calotta glaciale della Groenlandia, il secondo corpo di ghiaccio più grande del mondo, si sta deteriorando a causa del riscaldamento globale e continua a sciogliersi più velocemente del previsto (Credit: Medium)